Era dal 1985 che in Spagna un torero non moriva durante una Corrida. Sabato 9 luglio è toccato alla “giovane promessa delle arene”, Victor Barrio. Erano quindi ben 31 anni che il toro non riusciva a difendersi dalle torture inflitte dal torero, mentre ogni volta invece moriva lentamente, tra gli applausi degli umani esaltati, spettatori e partecipi di un giro di affari clamoroso.
Il toro che ha inferto il colpo mortale si chiama Lorenzo e ha, forse aveva, cinque anni. La stampa ne parla in rete e alcune testate inseriscono nell’articolo un video, avvertendo che “le immagini che seguono non sono adatte a un pubblico impressionabile”. Si riferiscono chiaramente alla morte del torero e non alla palese sofferenza del toro sanguinante, torturato dalla lance e da tutto ciò che prevede la sua “preparazione” prima di entrare nell’arena. A quella sofferenza evidentemente gran parte dell’umanità è abituata, al punto da non provare nessuna compassione per l’innocenza, la vulnerabilità di una creatura che per sua natura non è neppure un predatore. Infatti il toro deve essere incitato all’attacco, attraverso il dolore, in modo che scatti in lui l’istinto di autodifesa.
Lorenzo aveva un nome. E ne parlo al passato perché sono convinta che sia stato immediatamente condannato senza alcuna possibilità di chiedere Giustizia. Siamo stati capaci di dargli un nome e di assistere al suo dolore senza che un leggero senso di empatia mettesse in dubbio quanto stava accadendo.
La corrida è una tradizione anacronistica che merita di finire sepolta per sempre, come ogni pratica sadica, capace di rendere la sopraffazione del più debole un’abitudine. Abitua a godere di un atto criminoso e a smorzare in sé qualsiasi sentimento di solidarietà nei confronti della vittima.
Lorenzo, creatura… Ti penso, figlio del dolore, ora anche tu stella del nostro cielo.
(Giusi Ferrari)
Sì, tradizione di m. da abbandonare, hai ragione