Milla

Nel Medioevo il cane appariva spesso raffigurato sulle lapidi. Ma per i cani come per gli altri animali non esiste ancora il diritto di possedere uno spazio terreno oltre la morte. Del resto sono molti purtroppo quelli che non lo possiedono neppure in vita. Uno spazio vitale, degno di questo nome.

Anche per Milla era così.

Prelevata in canile da un privato perché allietasse le ore della figlia, dimostrò quasi subito di crescere un po’ troppo rispetto alle loro aspettative. A quella famiglia non rimase altra scelta che costruirle un recinto grande un metro quadrato, dal pavimento incementato, senza neppure un pezzo di tetto e con una cuccia miserevole. Milla vi entrò e per sette anni nessuno la fece più uscire. Sette inverni. Sette estati.

Il tempo passava e la sua condizione veniva continuamente segnalata dagli animalisti della zona ma, come sempre accade in questi casi, ai vigili che si presentavano per il controllo la famiglia diceva che Milla ogni tanto veniva liberata. In realtà mai.

Il tempo ancora passava, finché in una notte propizia spalancata sul gelo di febbraio qualcuno la portò via con sé. Quando quelle braccia amiche le si avvicinarono e la sollevarono, Milla non abbaiò.

Ricordo il suo sguardo di meraviglia nel rendersi conto dello spazio nuovo che ora la ospitava. Ricordo la sua prima corsa nel fango della campagna. Nella dolcezza delle acque del fiume. Le corse sfrenate nei boschi delle mie notti di Luna, quando la sua ombra si impastava con la mia. Mobile sotto la luce perlata dei nostri desideri.

Quando poi muore un’anima così, che cosa rimane da dire? Non vorrei che esistessero i cimiteri per gli animali. Mi impressionano già troppo quelli agghindati di noi umani. Vorrei che certe creature potessero continuare la loro corsa di libertà nei boschi generosi che le hanno volute.

Ho lasciato che in questo tempo prevalesse sopra ogni altra cosa il mio dolore per la sua mancanza. Mi ci sono abbandonata, come ha fatto il suo corpo dentro la nostra terra accogliente.

Giusi Ferrari

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